Sassocorvaro: l’operazione salvataggio di Rotondi

“Mio padre non si considerava un eroe, diceva sempre che aveva fatto solo il suo lavoro di soprintendente”. Così Giovanna Rotondi racconta la figura del padre Pasquale, salvatore del patrimonio artistico italiano e medaglia d’oro al valore civile per aver salvato dai bombardamenti e dalle razzie naziste oltre diecimila opere d’arte. Così la storia di Pasquale Rotondi si è intrecciata con quella di Sassocorvaro.

Quando Hitler invase la Polonia nel ’39, il ministro Bottai capì che presto l’Italia sarebbe entrata nel conflitto a fianco dell’alleato tedesco. Si preoccupò subito di mettere in salvo l’immenso patrimonio artistico nazionale, ideando un progetto segreto noto come “operazione salvataggio”. Pasquale Rotondi, giovane studioso trentenne, venne nominato soprintendente delle Marche; gli venne indicata Urbino come città aperta dove ricoverare il maggior numero di opere possibili. Tuttavia nei sotterranei di Urbino era nascosto l’arsenale dell’aeronautica che avrebbe reso la città un potenziale bersaglio militare. Pasquale Rotondi si mise ad esplorare il Montefeltro alla ricerca di un luogo più adatto ad ospitare i capolavori.

La rocca di Sassocorvaro

La rocca quattrocentesca di Sassocorvaro, nota come Rocca ubaldinesca, a pochi chilometri da Urbino, si rivela il luogo perfetto. Nel giugno del ’40 tutto Rotondi iniziò a far affluire a Sassocorvaro le opere conservate nei musei marchigiani. Il 10 giugno Benito Mussolini annunciò l’entrata in guerra. La rete dell’operazione a questo punto iniziò ad allargarsi: anche le opere del veneziano iniziarono ad essere trasportate nella rocca feltresca. E continuarono ad affluire fino al 1942, quando la rocca di Sassocorvaro non fu satura di tesori.

Il Palazzo dei Principi di Carpegna

Pasquale Rotondi decise allora di incontrare il principe di Carpegna, che mise a disposizione il proprio palazzo. Dal maggio del ’43 iniziano ad arrivare, da Roma e Milano, grandi opere a Carpegna: i tre Caravaggio, Raffaello, Piero della Francesca e Bramante, i manoscritti e i cimeli di Rossini da Pesaro. Un patrimonio inestimabile. A quel punto, tra Sassocorvaro e Carpegna, Rotondi ha in custodia circa diecimila opere. Durante i periodici giri di ricognizione, per controllarne lo stato di conservazione, decise di staccare dalle casse delle opere l’etichetta che ne descriveva il contenuto. Un’accortezza che salvò poi le sorti dell’operazione.

L’8 settembre del ’43 il governo Badoglio annunciò l’armistizio. L’Italia da quel momento entrò a far parte del fronte alleato. Rotondi capì subito che i tedeschi avrebbero di lì a poco occupato il territorio nazionale e i bombardamenti alleati si sarebbero intensificati di conseguenza.

A Bergamo i tedeschi fondarono la divisione italiana del Kunstschutz, un reparto di “protezione dell’arte” con il reale scopo di razziare i tesori artistici europei. Il 20 ottobre del ’43 accadde l’inevitabile: i tedeschi arrivarono a Carpegna e occuparono il palazzo del principe in cerca di munizioni. I soldati aprirono una delle casse, quella con dentro i manoscritti del compositore pesarese Gioachino Rossini, che il comandante tedesco definì “cartacce”. Grazie all’intercessione del patriarca di Venezia, venne consentito a Rotondi di ritirare le casse di proprietà della Chiesa. È qui che l’idea di staccare le etichette ripagò il soprintendente, riuscendo a sottrarre al controllo dei tedeschi anche le casse di proprietà dello Stato.

Dalla Rocca ai sotterranei del Palazzo Ducale

A questo punto Rotondi si precipitò a Sassocorvaro temendo che anche la Rocca ubaldinesca potesse essere occupata dai tedeschi. Giunto alla rocca, caricò su una vecchia Balilla alcuni tra i capolavori più preziosi e li portò sotto il suo letto, in una Urbino occupata dalle SS.

“Fu qui – racconta la figlia Giovanna – che io e mia sorella ci accorgemmo che c’era qualcosa di strano: ci dissero che la mamma era malata e perciò non si muoveva mai dalla camera da letto. Evidentemente stava benissimo ma stava facendo la guardia a quei preziosi quadri”.
Qualche giorno dopo, le SS lasciarono Urbino: Rotondi si attivò svuotando Sassocorvaro e Carpegna, e trasferendo tutto l’immenso patrimonio nei sotterranei di palazzo Ducale.

Da Urbino al Vaticano

Nel frattempo, alcuni studiosi al corrente dell’operazione che avevano rifiutato di aderire alla repubblica di Salò, si organizzarono per aiutare l’impresa di Rotondi. Si recarono in Vaticano per incontrare il cardinal Montini, futuro Papa Paolo VI e chiedere che le opere fossero custodite entro le sue mura, forse l’unico posto sicuro rimasto in Italia.

Il 21 dicembre del 1943 una colonna armata arrivò a Urbino, caricò le opere e ripartì alla volta di Roma. L’operazione salvataggio era finita. Rotondi aveva vinto.
La storia dell’operazione salvataggio, però, venne dimenticata fino al 1984.

In quell’anno il sindaco di Sassocorvaro, venuto a conoscenza della storia, andò a Roma per incontrare il professor Rotondi.
Dal 1997 a Sassocorvaro si tiene ogni anno il premio intitolato alla memoria di Rotondi, scomparso nel 1991, e dedicato ai “salvatori dell’arte”.

Fonte: Il Ducato, testata dell’Istituto per la formazione al giornalismo di Urbino

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